Sono passati quasi due anni dal 10 dicembre 2023 in cui un Frecciarossa partito da Lecce e diretto a Venezia effettuato con un ETR 600, nei pressi di Faenza, urtò contro un altro treno fermo, un Regionale effettuato con un Rock.

Quell'incidente per fortuna non fece nessuna vittima, ma causò disagi a decine di passeggeri, due furono ricoverati in ospedale, in sette finirono al pronto soccorso, e la linea rimase bloccata fino al giorno dopo, con 31 treni in ritardo, tre cancellati e 19 deviati.

Un vero e proprio caos, ma dovuto a cosa?

Il macchinista e la scoperta della dipendenza

Inizialmente i test tossicologici effettuati sul macchinista quarantenne, residente nel Veneziano, risultarono negativi.

Tuttavia, gli esami del capello eseguiti il 15 dicembre rivelarono l’abituale assunzione di cocaina, confermata successivamente dallo stesso conducente in una comunicazione interna, in cui parlava apertamente di una "gravissima dipendenza protratta da circa un anno".

Una dichiarazione inquietante accompagnò le sue ammissioni: "Quanto all’uso o dipendenza da sostanze stupefacenti, si tratta di un caso non isolato tra i colleghi macchinisti e da sempre riscontrato dal datore di lavoro".

Un’affermazione pesante, subito ridimensionata dal suo avvocato che sottolineò come non vi siano al momento riscontri su altri casi simili.

I sette minuti decisivi

Uno dei nodi centrali del caso è rappresentato da un periodo di sette minuti in cui il sistema vigilante che il macchinista deve "attivare" periodicamente per segnalare il proprio stato di coscienza non venne azionato.

Secondo la ricostruzione, tra le 19.38 e le 19.52 si verificarono ripetute frenate automatiche, ma il sistema non rilevò l’anomalia dell’assenza di risposta manuale.

Il giudice del lavoro, nella sentenza che conferma il licenziamento del dipendente e lo condanna al pagamento di 2.850 euro di spese legali, non ha collegato in modo diretto l’incidente alla dipendenza da stupefacenti, pur sottolineando “mala gestio” nella conduzione del treno e la tardiva comunicazione della dipendenza, che avrebbe potuto attivare protocolli aziendali di supporto e recupero.

Cosa non ha funzionato?

Il macchinista aveva assunto servizio a Rimini quel giorno. Secondo quanto riportato nella sentenza, il tratto tra Forlì e Faenza vide un susseguirsi anomalo di interventi del sistema SCMT, mentre il treno continuava a viaggiare alla velocità di crociera programmata.

Il cuore del problema, secondo la difesa, potrebbe risiedere proprio nell’assenza di un intervento tempestivo da parte del sistema di sicurezza del treno, che non avrebbe interpretato correttamente l’assenza di risposta del macchinista come segnale di emergenza. Un dettaglio su cui si fonderà il ricorso in appello.

Intanto, l'ex macchinista è in cerca di una nuova occupazione. Il suo caso ha aperto interrogativi profondi sul sistema di sicurezza, sulla solitudine in cabina – oggi spesso occupata da un solo agente – e sulla necessità di controlli ancora più rigorosi, anche dal punto di vista umano.

Fonte Corriere del Veneto