Sul Ponte sullo Stretto di Messina non si incrociano solo correnti marine e sismi, ma anche visioni profondamente diverse del futuro infrastrutturale italiano.

Da una parte Il Sole 24 Ore, che invita a “dire abbiamo sbagliato” e rivedere il progetto in chiave più snella, solo autostradale. Dall’altra, una pagina indipendente di divulgazione sul Ponte stesso che conta oltre 140.000 follower e difende con forza la natura ferroviaria dell’opera, definendo le tesi del quotidiano “del tutto errate dal punto di vista tecnico e scientifico”.

Il terreno dello scontro è, ancora una volta, la ferrovia — quella linea invisibile che da decenni unisce e divide il dibattito sullo Stretto.

Il Sole: la ferrovia come zavorra

Nel suo editoriale, il quotidiano economico parte da una premessa drastica: “Non è mai troppo tardi per ammettere di aver fatto un errore e correre ai ripari”.

Secondo l’articolo, il Ponte sullo Stretto sarebbe nato “con una impostazione funzionale a far crescere i costi a dismisura”, e una delle cause principali sarebbe proprio la presenza dei binari ferroviari accanto alle corsie autostradali.

La tesi è chiara: i treni complicano tutto. “I pesi, le vibrazioni, i limiti di pendenza e le alte velocità previste per la ferrovia aumentano di n volte i costi e i tempi di costruzione rispetto ad un ponte snello solo autostradale”, scrive Il Sole 24 Ore, sostenendo che un collegamento dedicato solo alle auto sarebbe più economico, più veloce da costruire e perfettamente sufficiente in un contesto in cui “per andare da Palermo a Roma prendere un aereo costa e costerà sempre meno”.

Un ponte senza treni, insomma, come soluzione “moderna”, che secondo l’articolo non sarebbe affatto “antiecologica”, perché “nel tempo anche le automobili saranno elettriche”. Un approccio pragmatico — o, per i critici, riduzionista — che vede nel ponte ferroviario “la classica cattedrale nel deserto”.

La replica: “Il vero collo di bottiglia è ferroviario”

La risposta della pagina Facebook arriva con toni decisi. L’articolo del quotidiano viene accusato di diffondere “disinformazione e idee del tutto errate”, ribaltando completamente la prospettiva: se c’è un errore di fondo, non è aver voluto i binari, ma averli trascurati troppo a lungo.

Secondo gli amministratori della pagina, “il ponte di Messina è stato progettato per essere soprattutto un’infrastruttura ferroviaria, perché il vero collo di bottiglia nei collegamenti tra Sicilia e continente è proprio quello ferroviario”.

I traghetti, spiegano, “non possono trasportare i treni normali, né i lunghi treni merci né i convogli ad alta velocità come i Frecciarossa. Le carrozze devono essere scomposte e ricomposte, con tempi enormi e procedure complicate”.

L’argomento tocca il cuore della questione ferroviaria: oggi un treno da Milano o Roma non può raggiungere direttamente la Sicilia. Tutto deve essere smontato e traghettato come nel XIX secolo.

Il ponte, al contrario, permetterebbe la continuità del traffico ferroviario e l’integrazione nel corridoio TEN-T scandinavo-mediterraneo, completando una direttrice strategica europea.

E i vantaggi in termini di tempi non sono trascurabili: “Per i treni la riduzione dei tempi di viaggio sarà di due o tre ore, un miglioramento enorme”.

Lungi dall’essere una “complicazione tecnica”, la parte ferroviaria sarebbe “proprio ciò che dà senso al progetto”.

Due visioni inconciliabili del viaggio

Qui si consuma lo scontro più profondo: da un lato la fiducia di Il Sole 24 Ore nel trasporto aereo, dall’altro la convinzione dei sostenitori del ponte ferroviario che il treno possa diventare il vero protagonista dei collegamenti nazionali.

Il giornale scrive che “un passeggero che ha pochi soldi da spendere per un biglietto ha già l’alternativa - migliore - e cioè un aereo low cost”.

La replica non lascia spazio a dubbi: “La verità è che il collegamento ferroviario del ponte di Messina sarà quello più strategico: permetterà di ridurre drasticamente il traffico aereo tra Sicilia e continente, rendendo il treno competitivo sulle tratte Roma–Messina e Roma–Catania, percorribili in 4-5 ore”.

È una diversa idea di mobilità. Per l'uno, il futuro passa da cieli economici e ponti leggeri; per l'altro, da infrastrutture pesanti ma intermodali, capaci di riequilibrare il rapporto tra ferro e aria, nord e sud.

Il nodo tecnico della campata

Il duello prosegue anche sul piano ingegneristico. Il Sole 24 Ore accusa il progetto di aver inseguito “il record del mondo di campata unica (m 3.300)” solo per grandeur, suggerendo che “posizionare le torri qualche centinaio di metri in mare” sarebbe stato più razionale e meno costoso.

Ma anche qui arriva una replica tagliente: “Una tesi che rasenta il ridicolo”. La pagina indipendente spiega che la scelta della campata unica non nasce da vanità ma da necessità: i fondali dello Stretto “sono profondissimi e caratterizzati da forti correnti, sismicità elevata e condizioni geologiche complesse”. Costruire torri in mare, dunque, significherebbe “dover realizzare fondazioni a profondità record mondiale, con tecniche mai sperimentate prima, e costi e rischi esorbitanti”.

Paradossalmente, la “campata record” è in realtà la soluzione più sicura e sperimentata, capace di “desintonizzarsi dalle frequenze dei terremoti”, rendendo il ponte più stabile, non meno.

Binari contro bilanci

Alla fine, il dibattito sul Ponte di Messina non è solo una questione di cemento o acciaio, ma di filosofia infrastrutturale.

Il Sole 24 Ore invoca prudenza finanziaria — “c’è sempre una goccia che fa traboccare il vaso” — e un ponte “relativamente poco costoso, in buona parte finanziato dai futuri pedaggi”.

Dall’altra parte, i sostenitori del progetto attuale vedono nell’opera ferroviaria una scelta strategica, in linea con la logica dei corridoi europei, e accusano i detrattori di “diffondere deliberatamente disinformazione su una delle opere più importanti e sicure mai progettate in Italia”.

Conclusione: una battaglia che passa dal binario

La discussione sul Ponte di Messina, al netto di calcoli, cifre e primati, resta una questione di identità. Per alcuni, è il simbolo di un’Italia che sogna troppo e costruisce troppo poco. Per altri, è il tassello mancante di una rete ferroviaria finalmente continua, un ponte che unisce davvero, non solo due sponde, ma due visioni di mobilità. 

Oggi, il vero ponte da costruire — prima ancora dell’acciaio — sembra quello tra due diversi modi di pensare.

Salvini rilancia sul Ponte sullo Stretto: “Lavori al via nel 2026, magistratura permettendo”

Chi invece non ha dubbi sull'opera è il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, che torna a ribadire la propria determinazione nel realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina, considerato il progetto simbolo della sua agenda infrastrutturale.

Durante un incontro pubblico della Lega a Bari, in vista delle elezioni regionali, il vicepremier ha lanciato un messaggio chiaro: «Spero che all’inizio del 2026 si possano avviare i lavori, magistratura permettendo».

Una battuta dal tono ironico ma dal significato politico evidente, con cui Salvini ha voluto richiamare le inchieste e i ricorsi che stanno accompagnando la fase preparatoria dell’opera.

Il ministro ha ribadito come il Ponte tra Sicilia e Calabria rappresenti un’infrastruttura strategica non solo per il Mezzogiorno, ma per l’intero Paese. «È un investimento sull’Italia che cresce e che vuole collegare il Sud all’Europa», ha affermato.

Tra cantieri annunciati e polemiche ricorrenti, il Ponte sullo Stretto continua a dividere politica e opinione pubblica. Per Salvini, resta il banco di prova del governo nella realizzazione di grandi opere e nel rilancio del Sud. Ma il percorso si presenta ancora complesso, tra nodi giudiziari, valutazioni tecniche e opposizioni politiche che promettono di dare battaglia.